giovedì 29 giugno 2017

Il polverone mediatico sul caso Totò Riina: capiamoci qualcosa...

Placatasi, almeno momentaneamente, la querelle sul caso della presunta liberazione di Salvatore Riina, proviamo a spiegare cos’è accaduto analizzando i fatti.

In una calda giornata di primavera inoltrata, il 5 giugno, le principali agenzie di stampa nazionali battono una notizia che scuote violentemente le coscienze di tutti, anche quella di chi scrive: Totò Riina sarà scarcerato per assicurargli una morte dignitosa.

Trascorsi pochi secondi in cui rimango attonito, cerco di comprendere cosa stia succedendo, e per farlo attingo alla fonte principale della notizia, ovvero la sentenza n. 966/2017 della Prima Sezione Penale della Corte Suprema di Cassazione.

Vediamo come si è arrivati a questa sentenza.

Il 20 maggio 2016 il Tribunale di Sorveglianza (organo giudiziario che decide sulle richieste di pene alternative alla detenzione in carcere) di Bologna respinge con una ordinanza le richieste della difesa di Salvatore Riina, che sono il differimento della esecuzione della pena, concesso a chi si trova in condizioni di grave infermità fisica, o, in subordine, la detenzione domiciliare.

Secondo il Tribunale di Sorveglianza di Bologna, le patologie del detenuto possono essere trattate anche in carcere, escludendo la violazione del senso di umanità. Inoltre, la struttura carceraria nella quale si trova il detenuto, è idonea ad intervenire tempestivamente e quindi la detenzione non aggrava il rischio di morte per Riina. Infine, sempre secondo il Tribunale di Sorveglianza di Bologna, la detenzione carceraria di Riina è necessaria per il suo elevato livello di pericolosità, considerato che lo stesso è il capo assoluto di Cosa Nostra e che questo ruolo non richiede prestanza fisica ed un ottimo stato di salute.

La difesa di Riina ricorre in Cassazione e la Corte ritiene che la motivazione su cui si fonda il rigetto della richiesta della difesa, sia insufficiente e a tratti contraddittoria. E’ carente poiché non tiene conto del complessivo stato di salute del detenuto (fa riferimento soltanto alla patologia cardiaca) e contraddittoria quando, da un lato afferma la compatibilità della detenzione in carcere con lo stato di salute, e dall’altro evidenzia carenze strutturali del penitenziario (ad esempio le ristrette dimensioni della cella che impediscono al detenuto di usufruire di un particolare letto rialzabile).

In definitiva, la Suprema Corte di Cassazione non ha deciso sulla sorte detentiva di Riina, bensì ha affermato e ribadito l’esistenza di un diritto del detenuto a morire dignitosamente, pertanto il Tribunale di Sorveglianza di Bologna dovrà riesaminare il caso e motivare adeguatamente ogni decisione.

Tutto questo dal punto di vista strettamente giuridico. E sotto l’aspetto umano? Cosa rispondere ai tanti familiari delle vittime di mafia, che hanno visto morire i propri cari sotto i colpi inferti da Cosa Nostra? E cosa dire ai cittadini che hanno protestato sui social network? Ma soprattutto cosa ribattere a magistrati che, dimenticando d’essere laureati in giurisprudenza, azzardano giudizi medico-legali?

Ferma restando la solidarietà e la vicinanza a chi ha perduto un familiare in circostanze molto drammatiche, occorre fare una precisazione. Il presupposto sul quale si basano le proteste è certamente errato, poiché si invoca Giustizia a parole e vendetta nei fatti. Se dovessimo sostenere le veementi proteste, dovremmo anche irragionevolmente gioire della recente morte per suicidio in carcere di Marco Prato, accusato dell’omicidio di Luca Varani (il 23enne stordito e ucciso a Roma a colpi di martello e coltellate il 4 marzo 2016), e dovremmo pure assurdamente congratularci con chi ha percosso Stefano Cucchi fino a causarne la morte, e gli esempi potrebbero continuare.

In uno Stato di Diritto esistono punizioni che non violano e non devono violare i Diritti fondamentali della persona, e sicuramente l’applicazione delle pene è ben lontana dal concetto di vendetta.

Se il detenuto Salvatore Riina, e sottolineo se, versa realmente in gravi condizioni di salute e queste sono incompatibili con la detenzione carceraria, nessuno può arrogarsi il diritto di negargli ciò che il nostro codice penale prevede. Tutto ciò nulla toglie alla gravità dei fatti che gli sono stati contestati e per i quali è stato condannato, ma mi domando da cittadino: lo Stato è davvero così debole da non riuscire a proteggere la collettività, se non violando Diritti sacri come quelli contenuti nell’art. 27 c. 3 della Costituzione (le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato) e nell’art. 3 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti)?

Le polemiche che si sono innescate sul nulla, poiché come ho detto non è stata ancora presa una decisione definitiva sulla detenzione di Riina, mi ricordano una nota favola di Fedro, quella del leone morente, in cui tutti gli animali si accaniscono su un leone agonizzante e quindi incapace di difendersi, e persino un asino lo prende a calci.

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FRANCESCO MURANA - Penalista palermitano con tante passioni che vanno dal pianoforte, alla scrittura, passando per il teatro, il video editing ed il doppiaggio. Volontario della Croce Rossa Italiana dal 2004, è stato fra l’altro impegnato per oltre tre mesi nelle operazioni di soccorso della popolazione abruzzese colpita dal sisma del 2009. Dal 2010 ha approfondito lo studio del Diritto Internazionale Umanitario e nel 2012 ha conseguito il titolo di Consigliere qualificato DIU per le Forze Armate, per le quali svolge attività di docenza. Nel 2013 si è specializzato in International Disaster Response Law presso l’International institute of humanitarian law e dal 2015 è docente nei corsi delle allieve Infermiere Volontarie della C.R.I..

martedì 6 giugno 2017

La TEAM (Tessera Europea di Assicurazione Malattia), questa sconosciuta…

DI FRANCESCO MURANA - E’ arrivato il giorno della partenza per le tanto agognate vacanze estive, magari all’estero, in un paese europeo. I bagagli sono pronti e avete appena concluso il normale giro di “ispezione” della casa alla ricerca di rubinetti aperti, interruttori accesi e finestre ancora da chiudere.

Ma siete certi di essere pronti ad affrontare ogni evenienza una volta giunti nel paese di destinazione? Con voi avrete sicuramente l’abbigliamento adatto per le esigenze climatiche delle vostre vacanze, ma avete pensato a cosa accadrebbe nel caso doveste aver bisogno di cure mediche?



Ai superstiziosi posso assicurare che non sono un novello Rosario Chiarchiaro, lo iettatore di pirandelliana memoria, e che non è mia intenzione evocare malefici o fare aleggiare perniciosi sortilegi sulle vacanze altrui. Semplicemente, occupandomi di un caso al MIF, io stesso mi sono reso conto dell’importanza della tessera sanitaria all’estero e desidero condividere con voi ciò che ho imparato recentemente. Già, oggi parliamo della TEAM (Tessera Europea di Assicurazione Malattia), ovvero della parte posteriore della tessera sanitaria che tutti utilizziamo in farmacia, negli ospedali e in quelle circostanze in cui sia richiesto il codice fiscale.

La TEAM, entrata in vigore in Italia l’1/11/2004, viene rilasciata generalmente alle persone iscritte al Servizio sanitario nazionale (SSN), e a carico di quest’ultimo, che hanno la cittadinanza italiana e che risiedono in Italia. Per verificare se avete o meno diritto ad usare la TEAM, controllate se invece dei vostri dati sono stampati degli asterischi come nella immagine. La presenza degli asterischi rende la TEAM non valida. Per accedere alle prestazioni sanitarie nella UE, il cittadino può recarsi da un medico o rivolgersi ad una struttura sanitaria pubblica o convenzionata.


Esempio di TEAM non valida
A questo punto sono d’obbligo due precisazioni: 

1) le prestazioni di cui si parla sono quelle non programmate (per accedere alle cure programmate all’estero, occorrerà un preventivo nulla osta dell’ASL di appartenenza);

2) dalla copertura della TEAM restano esclusi il pagamento di eventuali ticket e tutte le prestazioni aggiuntive non rimborsabili dal SSN (ad esempio una camera singola in una struttura ospedaliera convenzionata). Per tutte le altre prestazioni sarà sufficiente l’esibizione della TEAM, per ricevere le cure alle stesse condizioni degli assistiti del Paese in cui ci si trova.

I Paesi in cui può essere utilizzata la tessera europea sono i 28 Stati membri dell'UE, più l'Islanda, il Liechtenstein, la Norvegia e la Svizzera. Restano esclusi però alcuni territori europei, che sono: l’isola di Cipro nella parte sotto la giurisdizione della Turchia, le Isole del Canale (o Isole normanne) e l'isola di Man.

Occorre puntualizzare che in Svizzera e in Francia la maggior parte delle volte viene richiesto il pagamento delle prestazioni. Queste spese possono essere rimborsate in loco mediante istanza alle idonee strutture che sono la LAMal in Svizzera e la CPAM in Francia, oppure al rientro in Italia dall’ASL di competenza, con la presentazione di una richiesta corredata dalla documentazione sanitaria rilasciata dalle istituzioni straniere.

La materia è fin troppo vasta per poterla trattare nel dettaglio, pertanto per ulteriori informazioni potete consultare il servizio “Se parto per…” del Ministero della Salute a questo link.

Chi invece preferisce la connessione mobile, può scaricare l’app “Se parto per…” dai seguenti link: iOS da App Store 
Android da Play Store.

 Adesso, fatti i debiti scongiuri, mettiamo la tessera sanitaria in valigia e… Buone vacanze!




Se hai bisogno di ulteriori informazioni sull'assistenza sanitaria all'estero contatta il CONSULTORIO DEI DIRITTI MIF prendendo un appuntamento telefonicamente oppure compilando l'apposito FORM ONLINE...trovi tutto cliccando qui


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FRANCESCO MURANA - Penalista palermitano con tante passioni che vanno dal pianoforte, alla scrittura, passando per il teatro, il video editing ed il doppiaggio. Volontario della Croce Rossa Italiana dal 2004, è stato fra l’altro impegnato per oltre tre mesi nelle operazioni di soccorso della popolazione abruzzese colpita dal sisma del 2009. Dal 2010 ha approfondito lo studio del Diritto Internazionale Umanitario e nel 2012 ha conseguito il titolo di Consigliere qualificato DIU per le Forze Armate, per le quali svolge attività di docenza. Nel 2013 si è specializzato in International Disaster Response Law presso l’International institute of humanitarian law e dal 2015 è docente nei corsi delle allieve Infermiere Volontarie della C.R.I..

lunedì 5 giugno 2017

Finalmente una legge per il contrasto al CYBERBULLISMO

DI ROBERTA DI VINCENZO - Con la seduta dello scorso 17 maggio 2017, la Camera dei Deputati ha approvato il disegno di legge n. 3139-B recante “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”, conferendo rilevanza penale al fenomeno sociale del bullismo all’interno del web.

Ebbene, il legislatore ha pensato di correre ai ripari e disciplinare normativamente tale condotta pensando non solo alle vittime ma anche ai carnefici. Ciò in quanto, all’interno di un sistema penale garantista, quale il nostro, si ritiene ugualmente importante risolvere il problema partendo dalla radice: e, dunque, cercando di capire quali siano le motivazioni che spingono ragazzi e ragazzini a inveire contro i loro coetanei, istigandoli, nelle peggiori delle ipotesi, anche al suicidio.

Nello specifico, nel testo di legge approvato, il cyberbullismo viene definito come “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni realizzata per via telematica”.  Per completezza, i soggetti che possono subire gli esiti nefandi di tali condotte sono stati estesi anche a uno o più componenti della famiglia del minore, precisando che “lo scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”.

Per fronteggiare a questi problemi, il rimedio proposto dal legislatore è quello di inoltrare al titolare del trattamento o al gestore del sito internet, un’istanza per l’oscuramento, la rimozione o il blocco dei dati personali del minore, previa conservazione di quelli originali . Se entro le dodici ore successive a partire dall’inoltro dell’istanza, il soggetto destinatario non ha dato conferma di aver assunto l’incarico di provvedere all’oscuramento, alla rimozione o al blocco di qualsiasi dato personale del minore, e se non vi provvede entro le quarantotto ore successive, l’interessato può rivolgere analoga richiesta, mediante segnalazione o reclamo, al Garante per la protezione dei dati personali, il quale, entro quarantotto ore dal ricevimento dell’atto, deve provvedere, ai sensi degli art. 143 e 144 del citato decreto legislativo sul trattamento dei dati personali.

Ecco un servizio sul tema realizzato da ADKRONOS

Quest’ultimo rimedio, può essere esperito anche nella circostanza in cui sia impossibile ab origine identificare il titolare del trattamento o il gestore del sito internet. Per assistere i minori e le loro famiglie, la norma prevede la formazione del tavolo tecnico per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo, al quale hanno aderito le maggiori associazioni italiane che si occupano dei diritti dei minori e dell’infanzia (tra i quali il Garante per l’infanzia e l’adolescenza), che ha il compito di redigere un piano di azione perfezionato con le finalità predette, che va ad integrare a sua volta il codice di autoregolamentazione per la prevenzione e il contrasto al cyberbullismo, rivolto agli operatori che forniscono servizi ai social networking e agli altri operatori della rete internet.

Le linee di orientamento stilate dal suddetto organo serviranno agli operatori scolastici che dovranno studiarle e applicarle, trattando in prima persona con gli adolescenti coinvolti. Lo scopo è proprio quello di promuovere azioni mirate a contrastare il cyberbullismo, e di educare alla legalità al fine di favorire nei ragazzi comportamenti di salvaguardia e di contrasto.

Infine, quando il caso lo consente, fino a quando non è proposta querela o non è presentata denuncia per i reati di cui agli artt. 594, 595 e 612 c.p. nonché all’art. 167 del codice del trattamento dei dati personali, commessi mediante la rete internet, da minorenni di età superiore agli anni quattordici nei confronti di altro minorenne, è applicabile la procedura di ammonimento, ex art. 8, commi 1 e 2 del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con modificazioni dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, e successive modificazioni.

Ai fini dell’ammonimento, il questore convoca il minore, unitamente ad almeno un genitore o ad altra persona esercente la potestà genitoriale. Gli effetti dell’ammonimento cessano al compimento della maggiore età. Triste e amaro assistere al declino dell’uomo di fronte alla tecnologia. Lo strumento che in teoria servirebbe a migliorare le nostre condizioni di vita, nella realtà si trasforma in una macchina assassina che si alimenta di frustrazione, violenza e odio.

Il bullismo non è un fenomeno sociale che nasce nella nostra epoca, ma certamente, oggi, raggiunge picchi di altissima ferocia e di mera crudeltà. Se leggiamo le statistiche ci rendiamo conto che tra i giovanissimi che frequentano le scuole medie inferiori il fenomeno tocca numeri preoccupanti. A tal proposito, credo che sia utile gettare lo sguardo ai dati raccolti dall’Istituto Nazionale di Statistica nel documento pubblicato il 15 dicembre 2015 relativo all’anno 2014, “Comportamenti offensivi e violenti tra i giovanissimi: Bullismo”, secondo cui:

 “Nel 2014, poco più del 50% degli 11-17enni ha subìto qualche episodio offensivo, non rispettoso e/o violento da parte di altri ragazzi o ragazze nei 12 mesi precedenti. Il 19,8% è vittima assidua di una delle "tipiche" azioni di bullismo, cioè le subisce più volte al mese. Per il 9,1% gli atti di prepotenza si ripetono con cadenza settimanale. Hanno subìto ripetutamente comportamenti offensivi, non rispettosi e/o violenti più i ragazzi 11-13enni (22,5%) che gli adolescenti 14-17enni (17,9%); più le femmine (20,9%) che i maschi (18,8%). Tra gli studenti delle superiori, i liceali sono in testa (19,4%); seguono gli studenti degli istituti professionali (18,1%) e quelli degli istituti tecnici (16%). Le vittime assidue di soprusi raggiungono il 23% degli 11-17enni nel Nord del paese. Considerando anche le azioni avvenute sporadicamente (qualche volta nell'anno), sono oltre il 57% i giovanissimi oggetto di prepotenze residenti al Nord. Tra i ragazzi utilizzatori di cellulare e/o Internet, il 5,9% denuncia di avere subìto ripetutamente azioni vessatorie tramite sms, e-mail, chat o sui social network. Le ragazze sono più di frequente vittime di Cyber bullismo (7,1% contro il 4,6% dei ragazzi). Le prepotenze più comuni consistono in offese con brutti soprannomi, parolacce o insulti (12,1%), derisione per l'aspetto fisico e/o il modo di parlare (6,3%), diffamazione (5,1%), esclusione per le proprie opinioni (4,7%), aggressioni con spintoni, botte, calci e pugni (3,8%). Il 16,9% degli 11-17enni è rimasto vittima di atti di bullismo diretto, caratterizzato da una relazione vis a vis tra la vittima e bullo e il 10,8% di azioni indirette, prive di contatti fisici. Tra le ragazze è minima la differenza tra prepotenze di tipo "diretto" e "indiretto" (rispettivamente 16,7% e 14%). Al contrario, tra i maschi le forme dirette (17%) sono più del doppio di quelle indirette (7,7%).” 

 Leggendo questi dati, gli interrogativi che mi sono posta e che mi sgomentano allo stesso tempo sono: “Quanta importanza siamo disposti a dare alla società e quanta siamo disposti a darne agli individui virtuali?”. Insomma, se un giovane è capace di un gesto estremo, come l’autolesionismo o il suicidio, solo perché viene denigrato, umiliato o preso in giro dalla community di una chat on line, mi chiedo: “Cosa stiamo insegnando ai nostri figli?” Forse, io, nata nel 1987, e cresciuta in un periodo storico nel quale internet iniziava timidamente a fare capolino nelle nostre vite, non posso rendermi conto di come gli adolescenti contemporanei percepiscano il mondo del web. Tuttavia credo che una cosa in comune a tutte le generazioni ci sia: ciascuno di noi, chi in un modo e chi in un altro, cerca l’approvazione degli altri per le più svariate e molteplici ragioni, il che non è una cosa preoccupante di per sé.

Il vero problema è quello di capire il valore che questi ragazzi danno alla vita e alla dignità umana, alle relazioni sociali e all’amor proprio, e il bilanciamento di tutti questi elementi messi insieme.




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ROBERTA DI VINCENZO - Nata a Palermo nel 1987, dopo la maturità classica, si iscrive alla facoltà di giurisprudenza dove si laurea nel 2014. 

Nel 2017 consegue la specializzazione in diritto tributario presso la Scuola di Specializzazione e di Alta formazione del difensore tributario edita dall’Unione Nazionale delle Camere degli Avvocati tributaristi italiani (UNCAT). Amante dei libri e dell’arte della scrittura, è agli esordi nelle vesti di redattrice per il blog del Consultorio dei Diritti Mif. 
Crede nell’importanza dell’informazione come mezzo di supporto necessario alla collettività capace di risolvere i problemi in modo libero e consapevole.

L’avvocato d’ufficio e il gratuito patrocinio

DI FRANCESCO MURANA - Molto spesso si è titolari di un diritto, ma non si conosce un avvocato a cui rivolgersi per farlo valere in giudizio, oppure non si ha la sufficiente disponibilità economica per pagare un legale. Nel primo caso lo Stato nomina un avvocato d’ufficio, mentre nel secondo paga l’onorario dell’avvocato.

E qui sorge l’amletico dubbio di tanti cittadini: se l’avvocato è d’ufficio, perché devo pagarlo io?
Per rispondere dobbiamo procedere con ordine, iniziando col dire chi è l’avvocato d’ufficio. Si tratta di un libero professionista, e non di un dipendente dello Stato, che viene definito “d’ufficio” poiché è iscritto nell’elenco unico nazionale degli avvocati disponibili ad assumere, appunto, le difese d'ufficio. Per capire la funzione e l’importanza del difensore d’ufficio, bisogna fare riferimento al procedimento penale. Nel caso in cui la persona indagata o imputata non nomini un difensore di fiducia, l’Autorità giudiziaria ne nominerà uno d’ufficio.

Questo in ossequio all’obbligo della cosiddetta difesa tecnica. L’avvocato d’ufficio cessa dalle sue funzioni nel momento in cui l’assistito nomina un difensore di propria fiducia. Il ruolo del difensore d’ufficio prescinde dal suo indiscutibile diritto alla retribuzione, ed ecco svelato l’arcano. Il soggetto che ha usufruito delle prestazioni professionali dell’avvocato d’ufficio sarà obbligato a pagarne l’onorario, a meno che non possegga i requisiti di legge per accedere al patrocinio a spese dello Stato. “Chi non ha soldi ha sempre torto” è un antico proverbio che sottolinea l’impossibilità di difesa per chi è privo di denaro.

Per fortuna a smentire questo detto esiste il patrocinio a spese dello Stato, o gratuito patrocinio, ovvero l’istituto che garantisce la difesa tecnica ai cittadini non abbienti. Chi è in possesso dei requisiti previsti dalla legge, ha diritto a farsi assistere gratuitamente da un avvocato d’ufficio o di fiducia. Il patrocinio a spese dello Stato opera nel procedimento penale (per l’indagato, l’imputato, il condannato, la persona offesa da reato, il danneggiato che intenda costituirsi parte civile, il responsabile civile, ovvero, il civilmente obbligato per la pena pecuniaria), ma anche nel processo civile, in quello amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione (ad esempio le separazioni consensuali), per la difesa del cittadino le cui ragioni non risultino manifestamente infondate.

 Vediamo ora quali sono i requisiti che la legge prevede per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, e chi può richiederlo. Innanzitutto esiste un limite di reddito, che nell’ultima dichiarazione non deve superare € 11.369,24 (questo è il limite attuale, in attesa dell’aggiornamento per il 2017). Se il richiedente convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei cespiti dichiarati nello stesso anno da ogni componente della famiglia, incluso chi presenta la domanda. A questa regola derogano i processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti della famiglia che convivono con lui, in questo caso il reddito da prendere in esame sarà soltanto quello della persona che presenta l’istanza di gratuito patrocinio.

I soggetti che possono richiedere l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato sono: i cittadini italiani, gli stranieri che al momento in cui si verifichi il fatto oggetto del processo soggiornino regolarmente sul territorio dello Stato, gli apolidi e gli enti o le associazioni che non perseguano fini di lucro e non esercitino attività economica. L'ammissione può essere richiesta in ogni stato e grado del processo ed è valida per tutti i successivi gradi del giudizio. L’istanza di ammissione al gratuito patrocinio dev’essere presentata presso la competente Segreteria del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati (il modulo per la domanda lo fornisce la stessa Segreteria). I cittadini possono scegliere tra gli avvocati iscritti negli elenchi per il patrocinio a spese dello Stato, istituiti presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e presso tutti gli Uffici Giudiziari della provincia.

Depositata la domanda il Consiglio dell'Ordine valuterà se ricorrono le condizioni per l'ammissibilità, e si pronunzierà entro dieci giorni dichiarando: l’accoglimento della domanda, la non ammissibilità o il rigetto della stessa. Copia del provvedimento sarà trasmessa all'interessato, al giudice competente e all'Ufficio delle Entrate, per la verifica dei redditi dichiarati. Nel caso in cui la domanda non fosse accolta, il richiedente potrà rivolgersi al giudice competente per il giudizio.


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FRANCESCO MURANA - Penalista palermitano con tante passioni che vanno dal pianoforte, alla scrittura, passando per il teatro, il video editing ed il doppiaggio. Volontario della Croce Rossa Italiana dal 2004, è stato fra l’altro impegnato per oltre tre mesi nelle operazioni di soccorso della popolazione abruzzese colpita dal sisma del 2009. Dal 2010 ha approfondito lo studio del Diritto Internazionale Umanitario e nel 2012 ha conseguito il titolo di Consigliere qualificato DIU per le Forze Armate, per le quali svolge attività di docenza. Nel 2013 si è specializzato in International Disaster Response Law presso l’International institute of humanitarian law e dal 2015 è docente nei corsi delle allieve Infermiere Volontarie della C.R.I..