lunedì 31 luglio 2017

Ascoltare e relazionarsi...come!?

Al Consultorio dei Diritti MIF inizia un DOSSIER in tre parti sul tema "Voler esserci per gli altri...veramente!" a cura di IOLE COZZO e PIETRO DI GREGOLI che proporranno un contributo alla riflessione su tematiche, tanto rilevanti per la vita di tutti e mai abbastanza considerate con la dovuta attenzione: l’incontro autentico fra persone, la disponibilità profonda, il pieno rispetto e la vera apertura verso gli altri, in ogni ambito della vita personale e sociale.

Cominciamo col mettere in evidenza che tutti desideriamo essere ascoltati; e, a dire il vero, non ci basta, né ci soddisfa che la persona o le persone a cui ci rivolgiamo si presti, o si prestino, solo a recepire a livello puramente sensoriale ciò che decidiamo di trasmettere: aspiriamo ad averne la sincera e tendenzialmente completa attenzione, speriamo di destarne un non superficiale interesse, ci auguriamo di esserne accolti, come persone che fiduciosamente si espongono ad esprimere e manifestare se stesse nel dialogo, e non trattati esclusivamente come emittenti di un messaggio specifico, in attesa di una risposta, o di una reazione, del tutto circoscritta ad esso.

Nel contempo non tutti desideriamo ascoltare, non tutti siamo proclivi a farlo, non tutti vogliamo dare agli altri tale tipo di spazio col suo necessario corredo di tempo, ed energie, da dedicare, non tutti siamo disponibili ad applicarci, in misura congrua e con docilità e passione, a questa vera e propria arte, nella quale non ci si può mai ritenere degli “arrivati”.

Per altro verso, chi di noi potrebbe affermare, se non per assurdo - o con intento molto paradossalmente autocritico, o a qualche fine provocatorio, oppure “delirando”, più o meno consciamente -, di non avere vissuto relazioni? Semmai, potremmo dire tali ultime parole credibilmente e con un senso compiuto se ad esse aggiungessimo aggettivi, avverbi, locuzioni e perifrasi varie che ne circostanziassero il significato e, dunque, ne circoscrivessero la portata (pensiamo al caso di frasi come, ad esempio, “non ho vissuto tutte le relazioni come avrei voluto” o “non ho mai vissuto relazioni frustranti” o “non ho vissuto serenamente nell'adolescenza alcune relazioni”, e simili altre).

Si nasce, infatti, “strutturati per” la relazione, spiritualmente e bio-psichicamente orientati ad essa! Viviamo immersi in reti su reti di relazioni di molteplici generi e gradazioni di rilevanza. Ma nel relazionarci, più o meno liberamente o intenzionalmente - sia che ciò avvenga per nostra iniziativa sia che accada come corrispondenza all'iniziativa altrui -, gioca una forte incidenza il nostro scegliere, o non, di impegnarvi la nostra volontà, le nostre risorse di benevolenza, e spesso anche una buona dose di pazienza, mescolandole a una schietta sollecitudine verso il prossimo e a una genuina generosità nell'approcciarlo, condizioni alquanto imprescindibili per il realizzarsi della comunicazione vicendevole su più piani.

 Ascoltare e relazionarsi sono due tipici atti intensamente umani da cui la vita di noi tutti è caratterizzata fortemente e di continuo, fin dal grembo materno, laddove comincia l’esperienza del non essere soli nella vita, dell’essere con, cioè dell’esistere in rapporto con qualcun altro, o, meglio, con una pluralità di altri - anzi, in quella fase di vita, addirittura dell’essere in, cioè del sussistere, respirare, nutrirsi, crescere e muoversi dentro alla vita di un altro essere, e in particolare di un’altra persona, comunicando con quest’ultima reciprocamente -.

Tuttavia, la consuetudine esistenziale, di per sé inevitabile, con tali due dimensioni decisive della vita umana, l’ascoltare e il relazionarsi, non ci abilita, per così dire, “automaticamente” a viverle al meglio, in modo pieno, totalmente gratificante, degno della grandezza e delle complesse esigenze e risorse della nostra natura, e sempre confacente e propizio all'equilibrio e all’armonia personali, familiari e sociali in genere: tale traguardo - che, in realtà, ci sopravanza sempre come un orizzonte mai totalmente raggiunto, e verso cui restare, perciò in movimento - va conquistato, per progressive approssimazioni, attraverso una continua ricerca, che può rendere la vita ancor più interessante e ricca di soddisfazioni, e, pur non essendo quasi mai priva di difficoltà e incognite, può essere vissuta con serenità e relativa scioltezza. In altre parole: ognuno di noi ha, nell’intero arco della sua vita consapevole, la possibilità e la responsabilità d’impegnarsi, o non, nel prendersi cura della qualità del proprio ascoltare e del proprio relazionarsi, di cimentarsi costantemente - o trascurare, o perfino rifiutarsi, di farlo - nell’affascinante, spesso non lieve, avventura di lavorare su di sé per affinare la propria attenzione, la propria delicatezza, la propria magnanimità, la propria capacità di accoglienza della diversità e originalità degli altri e della loro irriducibilità alle proprie aspettative, liberando la propria mente dalle trappole del pregiudizio, dilatando il proprio cuore, cercando d’imparare a contenere ogni proprio impulso egocentrico e ad arginare l’eventuale tendenza a emettere giudizi sugli altri, “etichettandoli” con facilità, e potenziando la propria attitudine ad allentare, o sospendere, oculatamente, le difese e ad esporsi - seppur saggiamente -, e donarsi, nell’incontro con loro, senza, però, dimenticare in alcun momento il sacrosanto riguardo per la propria persona.

Molto di tutto questo lo si apprende, o meglio sarebbe “fisiologico” apprenderlo, a partire dal contesto della propria famiglia di origine, o, in assenza di questa, da qualunque altro alveo di accudimento possa far da “nido” per la sana crescita dell’essere umano nei primi stadi della sua vita e da miniera, vivaio, fucina e palestra di competenze emotive, affettive, comportamentali e relazionali in genere. Ma soffermarci su tutto ciò richiederebbe almeno un articolo a parte. Per il resto: non ci sono “ricette” universalmente applicabili con successo in questo campo - benché in molti si spendano a propagandare l’una o l’altra come l’unica sicura - senza il sudore personale, la crescente conoscenza e padronanza di sé, una profonda umiltà, l’autonomo sviluppo di qualunque stimolo esterno, e parecchie altre cose, che ognuno va capendo, se vuole, nel corso del costruirsi della propria storia.

Tanti sono gli elementi che possono concorrere al generarsi di tali processi e al loro maturare, e non potremmo qui elencarli tutti e adeguatamente approfondirli: ci limitiamo a sottolinearne, di seguito, qualcuno a mo’ di esempio. È sicuramente molto importante: sapere ritagliarsi degli spazi di silenzio, di introspezione e di meditazione; essere disposti, e concretamente pronti, a mettersi costantemente in discussione, avere la voglia di farlo o farsela venire; esercitarsi a selezionare gli stimoli esterni, mettendo ordine nell'esercizio della nostra attenzione, per onorare la dignità della relazione con se stessi e con gli altri; sapere, e volere, stare nello spazio e nel tempo reali in cui ogni relazione che viviamo di volta in volta si esprime, cioè sapere concentrarsi amabilmente e amorevolmente con tutta la propria umanità su tutta la ricchezza del momento presente condiviso in un incontro, curandone, nello stesso tempo, per quanto possibile, il contesto e i dettagli.

Quante volte, al contrario, incorriamo, nell'essere distratti, troppo presi dai nostri pensieri, dalle nostre "cose", dalle nostre "corse"! Nella nostra esperienza personale e professionale, sia individuale che comune, abbiamo riscontrato abbondantemente come si tenda, purtroppo, molte volte a trincerarsi, più o meno consapevolmente, dietro a una malintesa “naturalezza” dei propri comportamenti (avete sicuramente presenti frasi come “sono fatto così”, “che ci posso fare se non sopporto quello o quell’altro atteggiamento?”, “non ce la faccio a stare a sentire Tizio o Caia più di tanto”, etc.) - per non dire del diffuso “mito” dello spontaneismo -, e come anche si tenda ad accontentarsi delle proprie doti “innate” positivamente favorenti ai fini della ricettività nei confronti degli altri e di una buona “riuscita” dei vissuti relazionali, come pure, paradossalmente, dei propri stessi difetti.

Tali tendenze si manifestano, inoltre, indipendentemente dal fatto che il relazionarsi complessivamente con l’altro e in particolare l’ascoltarlo siano un momento arduo o, al contrario, soddisfacente e gradevole. Molte volte, così, o le cose van bene, diciamo, “per miracolo” o l’ascolto - da una parte, dall'altra, o da tutte e due - non si realizza e la relazione rischia di diventare solo, o prevalentemente, un momento di potenziali, o effettivi, reciproci equivoci, di confusione, di disagio, o di vera e propria sofferenza (che può sfociare anche in un’aperta conflittualità non costruttiva, con conseguenze non di rado drammatiche). Si capisce senza sforzo che se avviene ciò la relazione perde, parzialmente o totalmente, la connotazione, gravida di fertilità e in essa intrinsecamente presente, di prezioso terreno comune e spazio sacro, ricco di sfumature di colore, di risorse già in atto e di possibilità da poter far emergere e sviluppare - benché in misura più o meno consapevole - per arricchirsi vicendevolmente, aumentandone - ognuno per la sua parte, ma anche insieme - la comprensione e l’incremento progressivo, ciascuno nella cornice della propria specifica situazione esistenziale.

A tal proposito vi lasciamo, per ora, dicendo che crediamo valga la pena - quantomeno una volta nella fase adolescenziale e una nella fase adulta della propria vita (ma sarebbe decisamente utile farlo molto di più e, magari, con una discreta, se non proprio regolare, frequenza) - di porsi interrogativi sui temi che abbiamo qui affrontato; interrogativi, ad esempio, del seguente tipo: “Io so ascoltare? Voglio davvero farlo? Solitamente, chi parla con me si sente a suo agio? Che effetto mi fa, per lo più, il fatto che un altro mi racconti di sé, della propria vita?”, e “Se e quando non mi sento ascoltato, ho il coraggio di manifestare il mio stato d’animo con spirito di collaborazione per un migliore relazionarsi a vicenda?”; o ancora: “Mi interessa seriamente fare qualcosa perché la mia esperienza della relazione con gli altri faccia un salto di qualità? Credo sia “in mio potere” ottenere il raggiungimento di un simile obiettivo?”. Perché non approfittare delle pause estive di riposo per soffermarsi, farsi domande e riflettere, di più, su tutto questo? Al prossimo articolo!...

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IOLE COZZO DI GREGOLI E PIETRO DI GREGOLI - Entrambi palermitani, dal ’91 coppia nella vita (sposati dal ‘93 e genitori dal ’97) e nel volontariato, e, dal ’95, anche nel comune campo professionale della relazione d’aiuto, in particolare attraverso il Counseling (attualmente “Professional Advanced Counselor AssoCounseling”). 

Operano nell’ambito del benessere personale e relazionale, in quello sociale e in quello spirituale, con particolare specializzazione, dal punto di vista lavorativo, nel Counseling coniugale e familiare, in quello espressivo-artistico e in quello pastorale; esperti anche come formatori e conduttori di incontri e percorsi di gruppo. Appassionati della vita, e dell’incontro con gli altri, sempre in cammino, sempre interessati a nuove aperture d’orizzonte, credendo profondamente in Dio e nella ricchezza d’amore e di risorse presente in ogni essere umano.

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