foto di Dorotea Zanca |
Passeggio per le vie del centro storico della mia bella
Palermo e un po’ per deformazione professionale e un po’ per curiosità mi fermo
ad osservare le farmacie e provo ad immaginare come sarebbe lavorarci e la
tipologia di clienti, o meglio pazienti, con cui dovrei confrontarmi e le
problematiche che mi troverei a risolvere. Mi guardo attorno e oltre me, e i
miei due amici a fianco, di un italiano nemmeno l’ombra. E’ un formicaio di
turisti e cittadini originari di ogni parte del mondo. Ci addentriamo nei
vicoli attratti dalla musica etnica e dai colori delle vesti dei nostri
concittadini, dai molteplici suoni di lingue sconosciute, parlate in arabo, in
spagnolo, da ritmi orientali che rimandano a souk e bazar.
Un innumerevole insieme di comunità che insediatisi, hanno formato sottoborghi che costituiscono il tessuto sociale della città. Palermo è tornata ad essere la “capitale” multietnica e multiculturale di un tempo.
Qui, la signora chic e la sua lotta contro i segni del
tempo, il signorotto facoltoso stressato dal troppo lavoro, il ragazzo con il
borsone da cui esce la racchetta da tennis e il suo imminente bisogno di un
ricostituente, o l’arzilla ottantenne di tutto punto vestita che allevia la
solitudine con una bella chiacchierata al banco( non curante della fila che si
accumula alle sue spalle!), lasciano spazio ad altre problematiche.
foto di Dorotea Zanca |
La farmacia, in quanto presidio sanitario fondamentale delle
cure primarie, e i suoi professionisti assumono un ruolo da protagonisti tra le
figure sanitarie deputate alla prevenzione delle malattie, alla restituzione
della salute, e alla cura delle patologie croniche. Occuparsi di sanità in una
società multiculturale, pertanto, implica necessariamente un approccio
trans-culturale che tenga conto dei diversi concetti di salute, prevenzione, malattia
e morte presenti nelle varie culture. Senza questo presupposto qualunque
approccio agli utenti immigrati è destinato a fallire.
Consideriamo che nella maggior parte dei paesi di
provenienza dei migranti presenti nel nostro paese infatti, l’accesso ai
servizi sanitari avviene solo in situazioni di bisogno acuto, nell’emergenza; i
migranti sono per lo più culturalmente lontano dal concetto di prevenzione che
implica il sottoporsi ad esami anche in condizioni di perfetto benessere o di
assumere terapie croniche pur essendo asintomatici. Quando si rivolgono al
medico o al farmacista di solito hanno
un bisogno immediato. Un po’ come facevano i nostri nonni e bisnonni!
L’approccio sanitario, dovendo necessariamente tener conto
delle differenti concezioni della vita, del corpo, della salute, della malattia
o della sessualità, deve tener sempre presenti molteplici elementi socio-
culturali e antropologici, non potendosi più dare per scontata una comunanza
nei criteri di giudizio tra l’operatore e il paziente.
La comunicazione diventa essenziale. Già, ma come comunicare? E cosa si aspetta un cittadino
straniero da un professionista?
Innanzitutto immedesimiamoci. Ricordando di quando andiamo
in vacanza in un paese straniero in cui non conosciamo la lingua e la prima
preoccupazione è ottenere ciò di cui abbiamo bisogno senza essere fraintesi o
imbrogliati. Rivolgiamoci con sorriso e sguardo accogliente, magari con un
saluto in lingua. Cerchiamo di abbattere le barriere comunicative e
linguistico-culturali. E’ necessario stabilire un rapporto di fiducia con
atteggiamento d’apertura e acquisire nozioni di ordine psicologico,
antropologico, etnologico, che consentono di inquadrare adeguatamente la
persona che abbiamo di fronte, eliminando la visione del migrante untore, vettore
di pestilenze. Liberiamoci dal concetto di “normalità civilizzata” (cit. G.
Tomasi di Lampedusa) facendo intendere che gli “altri”, in quanto stranieri
sono anormali e incivili.
La conoscenza delle varie culture, usi e costumi è
fondamentale ed è ciò che permette a
tutti di essere efficienti ed efficaci nello svolgimento della propria
professione. Sicuramente trasformare queste parole o propositi in fatti non
sarà semplice ed immediato. A molti potrebbe apparire solo un volo pindarico!
Io, nel mio piccolo, ascoltando le
interviste di alcuni mediatori culturali (Marocco, Cina, Senegal, Pakistan,
Russia) ho già qualche spunto per
risolvere i problemi digestivi e intestinali dei musulmani in periodo di
ramadan, per fare educazione al corretto
utilizzo dei farmaci ed informazione sulla posologia, per parlare, senza
offendere, un cinese.
La comunicazione e la narrazione hanno una funzione terapeutica.
L’ approccio “narrativo” alla malattia (il racconto della
vita e delle esperienze, l’attenzione alla storia e ai contesti sociali di
provenienza) è un sistema per entrare in relazione e liberare i bisogni
individuali legati alla condizione di migrante.
“Il rispetto per la diversità fra le culture, la tolleranza, il dialogo
e la cooperazione, in un clima di fiducia e la comprensione reciproca,
costituiscono le migliori garanzie per la pace e la sicurezza internazionale”
(UNESCO: dichiarazione su “identità, diversità e pluralismo”)
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Attualmente collabora con un team di oncologi in clinica privata.
Ha lavorato in farmacia e parafarmacia distinguendosi per professionalità, competenza, gentilezza e disponibilità, riuscendo a creare un ottimo rapporto di fiducia, rispetto e fidelizzazione con i pazienti.
Amante della natura e degli animali, predilige lo sport all’aria aperta. E’ affascinata dalla luna e s’incanta davanti un tramonto che non riesce a non fotografare.
Sensibile, razionale, meticolosa, con buona capacità di ascolto e con uno spiccato senso di giustizia e del dovere , ha iniziato la sua avventura con il MIF di recente, attratta dalle iniziative e dallo scopo del consultorio, pronta a schierarsi con i più deboli in nome dell’ informazione semplice e accessibile a tutti.
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